The Project Gutenberg EBook of Homo, by Giovanni Cena
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Title: Homo
Author: Giovanni Cena
Illustrator: Leonardo Bistolfi
Release Date: January 25, 2016 [EBook #51036]
Language: Italian
Character set encoding: UTF-8
*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK HOMO ***
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4.—BIBLIOTECA DELLA
NUOVA ANTOLOGIA ✻
Giovanni Cena
HOMO
CON UNA COMPOSIZIONE ORIGINALE
DI
LEONARDO BISTOLFI
ROMA
NUOVA ANTOLOGIA
Dello stesso Autore.
Madre.—Poemetto, con prefazione di Arturo Graf
e con acquaforte di Leonardo Bistolfi. Torino,
Streglio, 1897 (Esaurito). L. 1.50.
Id.—2ª edizione riveduta, con nuovo disegno di Leonardo
Bistolfi. Torino, Streglio, 1899. L. 1.
In Umbra.—Versi. Torino, Streglio, 1899. L. 2.50.
Gli Ammonitori.—Romanzo. Biblioteca della
Nuova Antologia, Roma. L. 2.50.
In preparazione:
La Ghiacciaja.—Romanzo.
[Pg 1]
Giovanni Cena
HOMO
ROMA
NUOVA ANTOLOGIA
[Pg 2]
PROPRIETÀ LETTERARIA
Cromo Tip. Carlo Colombo, Via della Missione, 3—Roma.
[Pg 3]
Pare la terra ascendere, assorbita
nella luce. Tra il cuor del sole e il cuore
della terra, una forma sorge, a fiore
dell'esistenza e domina la vita.
Forma di piccoli esseri, che muore
dopo un giorno, e la cui mente è infinita.
Forza e bellezza intrecciano le dita
su le lor coppie e le corona amore.
E plasmando la terra a loro imagine
lanciano una dimanda al cielo muto,
là donde aiuto mai non venne o assenso.
Morrà la terra: a un urto la compagine
conflagrerà. L'argilla avrà vissuto.
Quel che fu, poco; quel che volle, immenso.
Eccolo. Chi? Napoleone o Dante?
Prole di re, prole di genî, oscura
semenza della turba, a la ventura
lanciata?... E la sua favola, un istante.
Il suolo ov'ei dimora è sepoltura;
ceneri e mausolei. Nano o gigante
sparirà come gli avi, e sul quadrante
dell'immenso non resta ombra o figura.
Che importa? Qual tu sia, da l'infinito
de' cieli già ti contenea vitale
la nebulosa nel suo sciame d'oro.
Benvenuto sia tu, col tuo tesoro
d'amore. E vivi! Nulla al mondo vale
la tua lagrima prima e il tuo vagito!
Quanti viviamo? Quanti sparvero? Io
li lasciavo a l'autunno ilari e sani:
morivano, nascevano lontani:
la culla non cessava il dondolio.
L'ultima quando è morta, morì Dio
in me. Soffrì spasimi disumani.
Viva si decompose. Oh tenui mani
che sogno ancora tese a dar l'addio!
Dove sparite (emerge il vostro viso
rivolto a noi sul mar dell'ombra) dove,
bimbi, pur ieri annidïati in culla?
Nell'aria vaporate a l'improvviso
o qui mutati rivivete, o altrove?
Ma il nulla, no! Strana parola. Nulla!
Il sole è sceso. Ritta in mezzo al prato
la bimba guarda ed il timor la tenta.
Dov'è il villaggio? Ahimè, lungi! E s'avventa
nella strada, correndo a perdifiato.
Dietro i piccoli passi scende lenta
l'ombra, con ali umide come fiato:
movonsi i tronchi minacciosi a lato
e la vita dell'ombra la spaventa.
Quand'ecco un grido giunge. Infine. Mamma!
Oh la casa custode e le vivande,
e vincitrice del terror la fiamma!
Ma tace e inarca i cigli, mentre inghiotte
il suo pane. Chè il mondo è grande grande...
ed ha veduto scendere la Notte!
Nelle nostre città tornano i belli
spettacoli? Guardate. Dai balconi
s'affacciano le donne avide, ai suoni
che appressano. E compaiono i drappelli.
Soldati? No. Fanciulli, coi cappelli
alati: soffian dentro i gialli ottoni:
e dietro schiere. Generazïoni
dell'avvenire. Nostri figli quelli?
Saldi, elastici, il viso al vento, avanti!
Pur la calamità fa largo ai forti:
nel vostro ritmo avanti, uniti, amici.
Sui vostri capi io lancio aüguranti
i fantasmi de' miei fratelli morti...
Per il nostro dolor siate felici!
Lo scolaretto spiega ai bimbi intenti
come la terra è al par d'un pomo tonda;
intorno intorno l'acqua la circonda,
sbocciano in mezzo isole, continenti.
Gira, come la pietra della fionda,
intorno al sole, e gli altri parimenti,
Marte, e quel dell'anello e i rimanenti...
La luna intorno a noi fa la sua ronda.
Il nonno ascolta e sta meditabondo,
chè, bimbo, ha vïaggiato, vai e vai,
col suo babbo, lontano, per il pane.
Vai che ti vai... «Ma, babbo, o che rimane
molto?»—«No, poco». E non finiva mai...
Quand'ecco il mare: «Là, finisce il mondo!»
Come i fanciulli guardano morire!
Spiano intenti senza batter ciglio...
Dov'è la morte? Da qual nascondiglio
nei bianchi letti insinua le spire?
Non era un mostro, vedon poi. Fuggire
non vale: è in noi. Non v'è miglior consiglio
che attendere che parta il padre, il figlio...
Di quante bare è nero l'avvenire!
Or dov'è quegli che passò le porte
ieri? Vuoto è il suo posto. Alcun s'illude
d'un suo ritorno? E un altro, ecco, scompare.
Temuta, accetta, desïata morte!
S'agita un piccol vortice, ed il mare
della vita sui morti si richiude...
Settembre! Ricominciano gli orarî,
bimbo. Tempo è di spolverare i tomi
dei classici, di scander gl'idïomi
dei padri antichi. Mano ai dizionarî!
Ah! Gli par di rimovere sudarî
polverulenti ond'escon vecchi aromi.
Oh sapïenza! Afferra gli assïomi,
piccolo Fausto, e spremi i corollarî!...
E con grand'occhi guarda la finestra
onde irrompendo lo turba l'odore
dei fieni e delle rondini il gridìo.
E una voce laggiù: «Fior di ginestra!»
L'infanzïa passò. Passa l'amore,
forse. E richiude i vetri. «Addio, addio!»
[Pg 18]
A Edoardo Rod
per sua figlia Maria.
La bimba che ti rinverdì la fronda
quando agitavi i rami inariditi
nel vuoto oscuro e coi primi vagiti
ti radicò nella terra feconda,
tiene il mondo nei chiari occhi stupiti
che furon tuoi: la tua pietà seconda
la visïon che in quelli si profonda
e il mister che le volge i primi inviti.
Già la fronte è pensosa e i sensi attenti,
e l'anima ch'è desta il cielo esplora,
ieri apparso a mostrarle un gran viaggio.
E nulla è più divino che il miraggio
azzurro onde s'imprime e si colora
l'universo negli occhi adolescenti.
Nel tramonto di maggio, pensierosa
la bimba siede in mezzo a' suoi balocchi:
accanto a lei l'amico suo riposa,
stanco di corse, languido i ginocchi.
L'un guarda l'altra sottecchi e non osa,
con nuovo senso, d'incontrarne gli occhi:
qualcosa par che in essi entri, qualcosa
di nuovo e dolce e li inondi e trabocchi.
E d'intorno la vita vegetale
opprime, esalta i due cuori piccini...
Occhi, incrociate le vostre promesse!
E le due vite che Natura espresse
fin qui distinte, accostano i destini
nella loro unïone originale.
[Pg 20]
Guidarello
nel Museo di Ravenna.
Ti sogno, Guidarello, orbite cave,
labbra contratte, emunte gote. Giace
come su rogo il corpo tuo, nè il grave
sonno assopì la piaga tua vorace.
Dormi! Nato non eri tu a le prave
opere dell'uccidere. Ora tace
l'odio d'un dì sul capo tuo soave.
Anche il tuo volto si componga in pace!...
Ma, dietro, l'ombra della Genitrice,
sovra l'eccidio degli adolescenti,
di vite nuove gravata le braccia,
«O nel creare ignaro—maledice—
e astuto nella strage, Uomo, che avventi
eternamente l'uomo a l'uomo in caccia!»
Donde giunsero? Ieri dai paesi
del desiderio, sotto l'indefesso
poter d'Amore, dentro un cerchio istesso
s'incontrarono, ignoti ed inattesi.
E il passato sparì. Sparì con esso
la persona d'entrambi: eccoli ascesi
nel tempo e nello spazïo, sospesi,
centro dell'universo, in un amplesso.
Ma sopraggiunto l'attimo prefisso,
eterno reputarono il prodigio
e la parola «sempre» han proferita.
Rapido li precipita l'abisso,
se di lor vita che toccò il fastigio
non riprende l'ascesa un'altra vita...
Il nato aspira, ammicca, con le dita
annaspa. (Gli alberi abitò, sospesa
tra l'azzurro l'umanità?) Rapita
guarda la madre la sua prole illesa,
libera, eppure a la sua carne unita,
sua, come allor che nella dolce attesa
l'atomo umano ripetea l'ascesa,
nel suo grembo, dell'ere e della vita.
Ed è felice, come nell'istante
d'estasi che nel seno palpitante
Amor le infuse la sua creatura.
Oh pel dolor che ha dal suo corpo avulso
l'essere novo, infondergli l'impulso
verso un'ascensïone ognor più pura!
A quei che plasma imagini novelle
d'umanità per gli uomini indolenti;
a quei che incute nobili sgomenti;
a quei che vecchie nostalgie divelle,
mentre l'amore negano le belle
e il volgo irride e insultano i potenti,
dolci restano, in vita, e pazïenti,
vindici dopo morte, le sorelle.
Restano, invase da un intuito oscuro,
qual d'un mistero che si manifesti
fatale a l'uomo di lor sangue nato.
Come a te, Nietzsche, infranto nel conato
d'esser tu stesso l'Uom che non avesti
forza d'imaginar vivo in futuro.
... et ne daignait rien voir.
Baudelaire, Don Juan aux Enfers.
Va la querula folla delle amanti,
nè don Giovanni si degnò vedere;
ma il diavolo che ha in cura il cavaliere
ghigna ed accenna la nera onda avanti.
Vogano l'inamabil onda infanti,
adolescenti, uomini, donne a schiere.
«Eccoli a te! Figli del tuo piacere!»
E cadono altri dai cieli sonanti.
Padre? Egli vive fuor dagli antri bui
nel dolce azzurro? E l'agita un'affanno...
«Figli!» Ma il suono gli si spezza in gola.
Essi non sanno, essi non san di lui
com'ei non seppe di crearli. E vanno.
Non udrà mai la tenera parola.
Memore il giorno stai nel tuo candore,
fosco la notte in gioie e pianti immerso,
letto, dove gli amanti cuor su cuore
naufragan nell'oblìo dell'universo;
dove la madre stringe il bimbo emerso
da le fiamme del suo lungo dolore;
dove il fanciullo si rivolge verso
la notte, il vecchio verso il sole e muore.
Gli efimeri così lor geniture,
loro agonie vicendano col lume
dei giorni e appena un crepitìo ne vibra.
Mentre la Morte su di te si libra,
instancabile smuove le tue piume
la Vita per le nascite venture.
Cresceano i bimbi intorno ai patriarchi
come grappoli vivi e fra' tumulti
de' giovanili giochi, udivan parchi
ammonimenti di virtù gli adulti.
Or te compiango, o vecchio, che t'inarchi
verso la terra, e non hai chi t'occulti
il vuoto verso cui solingo varchi
e del passaggio tuo pianga od esulti!
Dov'è l'amore che comprasti? Tace.
Passa la giovinezza e con malvagia
letizia irride a la tua faccia tinta.
Chè solo augusta è la vecchiezza cinta
d'opere e di memorie, che s'adagia
benedicendo nell'eterna pace.
Gloria a colui che visse a lungo e spare
verso l'alto! S'indugia su le fronti
ardue la vita, come il sol sui monti:
più bello il volto del domani appare.
Dono grande agli umani il contemplare
i puri eroi, così labili, pronti
a vaporare fuor da gli orizzonti
terrestri a la serenità stellare!
Da la vedetta de' loro anni han scorto
di quanta illusïon fatto è il dolore,
di quanto amore la felicità.
Dicono: «Amate! Altro non v'ha conforto
d'esser vissuti che veder migliore
a la vita salir l'umanità».
Enigma della morte! È come un'onda
dell'atmosfera eterna. Ed un mortale,
investito, sparì. Quando trasale
il cuor tuo, già la morte è a l'altra sponda.
In questa allor tu guardi. Ogni gioconda
forma o sembianza ha un che di sepolcrale.
E il suo respiro è sì fievole! Sale
come una bolla... Oggi, domani affonda.
(E v'ha chi uccide! e chi ciò giusto chiama!)
Tu guardi, ascolti, e ai morti anche domandi
perchè... Non domandare, uomo, prosegui.
Vivi! La vita in te, negli uomini ama,
vita che tieni, vita che tramandi;
che ognor più splende mentre tu dilegui!
Chi è costei che va per la sua via,
sola; senza timor la vita esplora
e sorride ai felici e a chi dolora
arde d'offrir la sua dolce energia?
Conscia di sè non provoca nè implora,
chè servitù non vuol, nè signoria.
Alcuno v'è che tiene l'armonia
dell'esser suo? L'attende e non s'accora.
Tu la guardi e ti sdegni. Non t'invita
a l'amor come a un giuoco, ella, per poi
subire o eluder la tua tirannia!
Ma che un giorno quell'anima restia
amor sospinga a cercar gli occhi tuoi,
allor ti sentirai re della vita.
Chi dilesse la sterile, e impudica
chiamò la fonte della vita? Dio
e Satana, ombre: era la vita il fio
d'una colpa, e castigo la fatica.
Or l'uom contempla la compagna antica,
madre, sorella, amante, un po' restio,
ma senza sdegno, con un senso pio
quasi di cosa sacra—l'Inimica!
I figli cercan liberi il consorte
che il lor destino annunzia e il sangue chiama,
perchè formino un essere felice;
e le libere nozze benedice
dal suo mistero l'Essere che li ama
uniti nell'amore e nella morte.
«Moriam!» L'amante disse ebro all'amante
unendo in un pensiero amore e morte.
Ella rispose, e l'abbracciò più forte:
«Cominciata è la vita in questo istante».
Di là più nulla esiste, oltre le porte
della vita, più nulla ove il sembiante
dell'amato si serbi a l'aspettante...
Lodiam la nostra umanità consorte!
Esaltiamo la vita! I nostri sensi
siano la zolla che assorba e maturi
i germi, e in sangue, in palpiti li addensi.
E il cuor s'imbeva de' dolori oscuri
degli uomini e li infiammi e ne dispensi
raggi d'amore ai prossimi e ai venturi!
Ch'io ti veda per sempre qual ti vidi
la prima volta, sorridente. Sia
limpido o tinto di malinconia
il tuo sorriso o triste!... Ma sorridi!
L'immagin tua sia bella sempre, dia
fiducia nella vita in cui confidi.
Sorella non sei tu de' fior, dei nidi
e delle stelle? Tu sei l'armonia.
Dolore o gioia non ti spinga a tale
oblio d'altrui che perdano speranza
nel bene quelli cui la vita è male.
Poi che nel grembo della tua sostanza
l'oggi e il domani, i sensi e l'ideale,
la terra e l'infinito hanno alleanza.
Tuo forse il sole, e l'aria cogl'incensi
delle zolle fruttifere, e i viventi
onde assorbi la vita, e gli elementi
che nel tuo sangue per brev'ora addensi?
Tuo quel che vedi e ascolti? Obbedïenti
al tuo voler perennemente i sensi?
tuo quel che fai, che imagini, che pensi?
Tu stesso t'appartieni?... No. Lo senti.
No! Perchè nel suo cerchio un amor, cieco
come il vento dei pollini, vi chiuse,
tu chiami tua la umana creatura!
Nulla è tuo! Fuorchè l'attimo che seco
la volontà dell'Essere vi fuse
per trar di voi l'umanità futura.
Candide voi trovò ma non ignare
giovinezze l'Amore, ospite immite:
or amico vi guarda rinnovare
il mutuo dono delle vostre vite.
Oh voluttà! Due passïoni unite
in un'estasi; udire un cuore urtare
sul nostro cuor fino a spezzarsi; e mite
indi il sonno sedar le membra care!
Felicità! Gemmar vite novelle
e valide lanciarle fra la guerra
umana a spander opere di vita!
Serenità! Compir la dipartita,
mentre vi seguan desiosi in terra
occhi d'uomini, in alto occhi di stelle!
[Pg 37]
Davanti a Sant'Orsola
del Carpaccio.
Poeta, non destarla! È così bella,
così pura nel suo bianco lenzuolo;
rigida, chiusa come in un bocciuolo,
ella è colei che non si dissuggella.
Creatura di luce, con la stella
del vespero esce il suo spirito a volo.
Non richiamarla, non destarla: solo
ammirala, poeta: è tua sorella.
Il tuo più folle ardor non desterebbe
lungo i suoi lombi gelidi un sussulto,
nè turberebbe il suo sonno divino.
Però che anch'ella fiore ultimo crebbe
sterile in cima al ramo, per il culto
dell'Ignoto segnata dal destino.
Non indugiarti. Il cuor non sosta; avanza
come gli anni e la morte. Ah se tu poni
la tua vita in un essere, e imprigioni
te stesso in un dolor senza speranza!
Dónati e chiedi: s'altri non ti doni,
non hai dentro te stesso un'abbondanza
essenzïale onde la tua sostanza
si mesce al mondo in intime unïoni?
Tu sei quegli che passa: a te daccanto
infelice chi viene a lungo e porta
il peso enorme de' tuoi desiderî!
Più d'un cuore t'amò forse quand'eri
già passato. Così, morto,—che importa?—
anche l'Uom t'amerà non senza pianto.
Io la scopersi e la chiamai Sibilla.
Come ognun disamò lei giovinetta,
e a secolari tirannie soggetta,
emerse, quale un fiore da l'argilla,
mi disse. Or io la trassi su la vetta
ove il tumulto uman perspicuo brilla
nello spazio e nel tempo. Ella tranquilla
contempla e dice, e l'Essere le detta.
L'agile capo e la capigliatura
attorta e tutta la persona bella
vibrano sotto un soffio ignoto e vivo.
Ed io, già dubitante, credo e scrivo.
Io non son che la sua buona novella.
Palpita in lei l'umanità futura.
I.
Talor sussulto, mentre mi addormento
sul seno tuo: mentre mi culla il molle
respiro, odo il tuo cuore, odo le polle
del tuo sangue pulsare: e n'ho sgomento.
Sotto un tessuto come di corolle
tepide un lavorio profondo sento,
incessante e sì fragile! Un momento
di silenzio... e mi assale un terror folle!
L'anima tua risplende in me: viviamo
oltre l'ora, per sempre; ed un amplesso
delle tue braccia risuggella il patto.
Ma il corpo tuo tu non possiedi. A un tratto
la morte lo nasconde, e te con esso
tutta, e la vita mia che per te amo.
Corpi, ove corse il nostro sangue, donde
questo respiro abbiam, breve e tenace!
Corpi non nati, ove trarrà per onde
sempre più vaste il nostro cuor vivace!
E quello dolce sì per cui mi piace
questo mio stesso e al mio l'amor confonde,
che meco trar vorrei fino a la Pace,
fino al gran Cuor che tutto assorbe, effonde!
Splendete, belle forme, o voci e sguardi
e nei trasalimenti intimi essenza
suscitatrice della vita nova!
La morte è ovunque. In noi l'insidia cova,
ci sovrasta la bruta vïolenza.
Ogni istante è supremo. O Vita, ardi!
L'orfano udì nel sonno uno scalpiccio
vicino. Eran le gocce delle gronde?
Chiama: «Nonno!» Le tenebre profonde
gli riempiono il cuor di raccapriccio.
«Prendimi teco!» E come non risponde
quegli, sì pronto ad ogni suo capriccio,
sale, con occhi chiusi, il pagliericcio
del nonno e tra le coltri si nasconde.
Si rannicchia tremando accanto al nonno.
L'altre volte dicea questi: «Che hai?»
e pur nel sonno lo traeva in braccio.
Lo scuote: nulla. È freddo come il ghiaccio.
Lascia che dorma, bimbo; tu non sai
quanto sonno lo tiene, quanto sonno!
Appena vivo il bimbo piange forte
tastando, come un rondinino cieco,
su la fanciulla, che con occhio bieco
guarda l'ignaro nato per sua morte.
Vivere? Anch'egli avrà la mala sorte,
nudi e traditi entrambi. Ah, muoia seco!
Già lontana è la vita... N'ode l'eco
fievole, fuori, oltre le chiuse porte.
Chiuse le porte e oscure. Sul braciere
ondula a tratti un'azzurrina fiamma.
Esausto il seno e il bimbo cerca, tenta...
Oh che peso sul petto! L'ombre nere
premono... Il bimbo tace: su la mamma,
da poco desto, si riaddormenta.
I.
Usciva da la scuola, per molt'ore
immoto e col pensier vagante in caccia
di sogni alati, e dentro l'ombra diaccia
sentiva aulire tutto il maggio in cuore.
Nella strada fra 'l giovenil clamore
un motto ardente gli avvampò la faccia;
un sorriso lo avvinse; e con terrore
si mise dietro a l'odorosa traccia.
Così l'impura dispogliò l'ignaro
de' suoi tesori, come un giovin fusto
di sue tenere gemme appena schiuse.
E nella giovine anima s'infuse
della coppa d'amor tutto l'amaro
e in fondo inoblïabile il disgusto.
Un altro maggio, e rinascean dai nocchi
le gemme e il grano rimettea la spica,
quand'ei rivide una figura amica
compagna già di fole e di balocchi.
Mutati, oh quanto! Ed ella con l'antica
letizia, ei con un fuoco acre negli occhi.
Ed ei non puro mise a la pudica
tutti i fior del suo cuore in sui ginocchi.
Un dì la giovinetta, a una parola
attesa, si piegò, come nei prati
fanno i narcisi sui fragili gambi.
E poi?... Oh, come allora! I baci dati,
come allora, ed i gesti, ahimè! d'entrambi!
E quel disgusto gli salì a la gola.
Le verginelle vanno a capo chino
piangendo il fiore de' loro anni lieti,
mentre i giovani cercano inquieti
l'amor lontano ch'hanno sì vicino!
Onde si fa deserto ogni giardino
e gli usignoli tacciono e i poeti;
mentre muoion tra l'erbe i fior segreti
e sfogliansi le rose anzi il mattino...
Sacrilego colui che a l'ugne ladre
delle impure abbandona i giovinetti
e le vergini bianche a l'oro immola:
e spegne l'ineffabile parola
che germina su labbri nuovi e schietti
inizïante la Natura Madre!
Senza speranza d'alcun paradiso
il morituro innanzi ad ogni cosa
della vita passava col sorriso
di chi guarda, vorrebbe ma non osa.
Non osava. Temendo una gelosa
rivale e da la vita già diviso
ascoltava il suo cuore, senza posa
precipitare il suo mortale avviso.
Procedeva tra noi, gladïatori
della vita, già vinto e già scïente,
dissimulando il suo certo destino.
Era di maggio, un lucido mattino.
Rideva ancor del suo riso dolente,
quando fu seppellito sotto i fiori.
Ella guardava come chi saluta.
Me forse? Visi dietro me lontani?
Od assorti eran gli occhi, e negli arcani
interïori l'anima perduta?
Mi guardò: trasalì? Passò. Domani
evocherò la forma, già caduta
nel passato: e il ricordo agita, muta,
fonde questo con gli altri segni vani...
Così tra le stagioni fuggitive
passano come i fior le imagin belle,
cadon dal tempo nell'eternità.
Così nel nostro cuor si forma e vive,
nata da l'armonia di tutte quelle,
l'Unica nostra... E forse non verrà.
Quando lo sposo, caro a' suoi, la tenne,
ella aspettava con dolce sgomento.
Ma il mistero dei corpi àpresi lento...
E in braccia ignote senza gioia svenne.
E ignora. Addio felicità ventenne
del cuor, dei sensi, addio! Forse un momento
palpiterà sotto uno sguardo intento,
perchè più pesi il suo dolor perenne.
E la vil tirannia! Le membra attorte,
premute, vïolate e l'infinita
nausea che l'empie nelle notti orrende!
Ciò la natura ignora, nè sospende
l'opera sua... Che sei, piccola vita
plasmata d'odio e di pensier di morte?
Come in un raggio i due spiriti onesti
luceano. Un dì lo sguardo verecondo
vide quegli occhi fatti ardenti e mesti:
ebbe pietà... e cadde tutto un mondo.
Si levarono entrambi, come desti
da un malo sogno. Ma nitida in fondo
agli occhi sta la visïone e i gesti
d'entrambi, e tutto assume un che d'immondo.
Or colei che non seppe esser sorella
tende le mani a un ultimo richiamo,
già piene di tesori, or fatte ignude...
Oh fango! È il cielo che nella palude
più caldo e intenso brilla e noi scendiamo
in mezzo al fango a ricercar la stella!
[Pg 54]
La cortigiana e l'apostolo.
«Mi vuoi, lo so, perchè non chiesi il dono
di te, perchè non t'amo e tu sei bella.
Ambi seguiam la nostra via, tu quella
della vendetta, io quella del perdono.
Ambi figli di vittime, ci appella
la stessa voce con diverso suono:
tu se' colei che abbatte i forti, io sono
quei che redime i vinti. Addio, sorella!»
Così disse, e la bella si raccolse
come una spada nella sua guaina,
micidïale a quei che ne la tolse.
L'apostolo nel turbine s'infranse
che a guerra eterna uomini e dèi trascina.
Su lui la cortigiana sola pianse.
È sazio, cupo, solo. Con la bruma
del sonno una tristezza maliarda
scende. L'ultima face par che arda
sovra una bara: muor torbida e fuma.
S'accosta alla finestra. È l'alba. Guarda.
Rinasce il mondo sempre? Si consuma
la gioventù, la voluttà, la spuma
della vita, e più nulla... Or che più tarda?
E lentamente una figura scialba
ondula emersa da la nebbia rara.
«Sempre più triste, a che, importuna, torni?
È troppo tardi per mutar miei giorni!
è troppo tardi, o importuna e cara,
che a notte affogo e che risorgi a l'alba!»
Sedeva nella stanza al buio fitto,
raccapricciando. Or lento si conduce
presso una porta, chiusa. Un fil di luce
riga il suolo. S'appoggia immoto, ritto...
E, chiusi gli occhi, pur l'assedia un truce
quadro e l'attesa come di un delitto.
Un letto: un corpo umano v'è confitto...
un uom dentro vi fruga e un ferro luce.
Oh dolce, dolce vittima! Oh dolore
della carne che in dar la vita muore...
Oh questo tempo oscuro ed infinito!
Si comprime le tempia arse... Un vagito?
—«Aprite! Aprite!...»—Ecco: un viluppo informe
ignudo strilla... Ella non sente. Dorme.
Una barca si move, e dietro un lume
pallido: un'ombra su la prora china,
scrutando fra le tenebre, trascina
qualcosa, grave, dietro sè, nel fiume.
Lungi, presso la diga, ove le spume
segnano un'ampia linea turchina
un altro lume errante s'avvicina
tremulo e cresce rosso tra le brume.
I pioppi, eretti verso il ciel notturno,
contemplano la luna in cenerine
nuvole declinante verso i greti.
Un motto breve passa, ed inquïeti
errano i lumi ancora, e l'ombre, chine
sul mistero del fiume taciturno.
Quando arrossano il mare i pigri soli
tra cortine di sangue, alzi i tuoi lagni,
piccola ombra assetata, da gli stagni
sospingendo per l'aria umida i voli;
e vagolando sopra i grigi stuoli
che la fame urge ed i padron grifagni,
la febbre con le molli ali accompagni,
dal padre suggi e inoculi a' figlioli.
Un contatto, un ronzio rapido, e punge
l'esile avviso i cuor, come di lunge
voci d'oblìo sovra le fronti oppresse.
E geme ognuna come se tenesse,
piccola, un peso immane. Dentro d'esse
l'Ospite, immensa come l'ombra, giunge.
Ancora v'è un paese ove il sol biondo
dipinge inesauribili giardini?
Qui tutto affoga dentro il fiato immondo
che vomitan le gole dei camini.
Grandi antenne su plumbei bacini
solcano un orizzonte senza fondo,
ove s'ammucchia da tutti i confini
la ricchezza e la schiavitù del mondo.
E in questo nembo i desiderî ladri
s'azzuffano, ed in lor trame irretita
la generosa Terra s'incatena.
Vivere è dunque sì tremenda pena?
Ah se quest'è necessità di vita,
inaridisca il grembo vostro, madri!
Montanaro, casetta mia, com'eri
piccola e triste, e n'ho triste la vita:
ma come al mio pensiero era infinita
la traccia, intorno a te, de' tuoi sentieri!
Poi città corsi, e vidi regni e imperi
e agli occhi miei la terra è impiccolita:
nessun mistero in essa più m'invita:
triste pur questa casa, e io son quel d'ieri.
Or se rivolgo il viso al ciel notturno,
quanto sei breve, terra, e come immenso,
cielo, ove miro con impazïenza!
Ma come avvien ch'io palpiti non senza
dolcezza, quando a te, villaggio, penso,
ultimo albergo al mio cuor taciturno?
Stanca, stanca è la vecchia Italia, tante
vite nutriva e spesso vïolenti,
e i figli ultimi, ad altre terre intenti,
cura non hanno più della gestante.
Vive la nostra terra, se i fermenti
l'avvolgano d'un'opera incessante:
feconda sempre se animali e piante,
nati da lei, vi tornino morenti.
Uopo è che scorra in onde armonïose
nel corpo della terra genitrice
il circolo perenne della vita...
Ah, quando l'uomo con facili dita
emanerà la volontà felice
e l'armonia su 'l moto e su le cose?
Lasciano a mille a mille l'alveare,
come le pecchie van nell'afa estiva.
Ove, che importa? ove si muoia o viva,
dentro i navigli che son culle e bare.
Scendono a branchi: madri nella stiva
covano bimbi e li addormenta il mare;
vecchi sognano un novo focolare
che scaldi lor la vita fuggitiva...
Tale, Italia, sei tu; lungo il tuo mare
generi e culli un'inesausta prole
e la spandi pel mondo come il grano.
Portatrice di pace ov'essa appare,
la terra scopre le sue membra al sole,
perchè il seme si levi e il fiore umano.
Non domandare, amico mio, qual gente
tenga il paese delle belle forme.
Il nostro genio in sale antiche dorme:
n'assiste il sonno un popolo indolente.
Mentre dai monti al mar corron le torme
a depredare il bel retaggio intente,
su la terra che cela il sogno ardente
dei padri monta un incubo deforme.
Tra le case senz'anima e le strade
senza faccia, nei nuovi simulacri
pur la materia umilïata appare.
O popolo, tu spazza le contrade
d'Italia, e quest'obbrobrïo i lavacri
d'Appennino e dell'Alpi urgano al mare!
I.
Mentre i tuoi primi nati aprono l'ale
verso terre che arridono più liete
di premî e d'opre e dentro il suol natale
il vecchio padre semina e non miete,
popol di vecchi e di fanciulli, quale
nuova ricerca t'anima? qual sete
d'esperïenze? E quando l'ideale
è prossimo, ti volgi ad altre mète.
Giunto ieri fra' nuovi popoli, oltre
guardi, oltre corri con crescente affanno,
l'altrui vedendo più che 'l tuo dolore...
T'assistan vigilanti nella coltre
del suolo sacro i padri: essi ben sanno
che il destino t'elesse iniziatore.
Iniziatore t'elesse il destino
che modellò, divelto da l'ardente
Africa, e offrì, desìo de l'Occidente,
questo pensile in mare arco Appennino.
Del suol benigno e dell'aer marino
foggiò la saggia armonïosa gente
che a l'antica Eüropa e a la recente
infuse il chiaro spirito latino.
E volle che splendesse da le belle
città, maestra nel crear la mano,
luce il pensier, musica l'idïoma;
e radïassi fra le tue sorelle,
tu che vedi passar, cozzanti invano
contro di te, uomini e numi, Roma.
Cui mundus est patria.
Bruno.
Il profugo sostò presso il confine
ond'uscì giovinetto a le venture.
Ecco le verdi valli e le pianure
digradanti co' fiumi a le marine.
Terra, che nutri primogeniture
invide, trafficanti, fra meschine
trame di guerre e paci, le rovine
sacre delle paterne sepolture!
Chi chiama? Àrmano a guardia degli scrigni
popolo contro popolo i mercanti.
«A l'armi!» urla un lor capo tremebondo.
—A le vanghe, a le macchine, a gli ordigni
trasmutatori della vita, o erranti
italïoti ai quali patria è il mondo!
Fanciullo senza pane e senz'amore,
un giorno invano ti passò vicino:
come allor lo rinneghi oggi che muore
tardivo alunno di un pensier latino.
Credette essere il braccio del destino
contro un tiranno, egli liberatore.
Quei non era che un uomo: egli è assassino...
Passarono. Nè muta ora il Dolore.
Anch'io volli trovar quei che produce
il Male. Esiste? No... Ma ne ricada
l'onta su ognuno ch'è saggio e felice!
Io già ti chiesi, Arte liberatrice,
un metallo per fondermi una spada,
or ti chiedo un metal ch'espanda luce!
Siede un ramingo innanzi ai quadri. Dorme?
Qualcosa de' suoi padri è prigioniero
in ogni terra: egli non è straniero
ove dei padri hanno esulato l'orme.
Oasi di riposo al suo pensiero
destò la vista delle belle forme.
Tace. Dintorno scendono ombre a torme,
ombre di antichi dallo sguardo austero.
Susurran l'ombre: «Occhio che par serbare
la luce come il dïamante, mani
suscitatrici d'armonie viventi!...
Oggi avvinto a la gleba fra' giumenti,
d'idee latine e di beltà domani
adornerai la terra arata e il mare!»
I.
Ebbe il braccio fulmineo degli avi
e il nostro cuor dal palpito profondo.
V'è un genio istesso, che dal suol fecondo
della patria rivive a' giorni gravi?
Eri tu certo, Ligure, che davi
a un re straniero inutilmente un mondo;
or, dato un tetto a un popolo errabondo,
all'unïon dei popoli auguravi.
E quando sul Gianicolo balzasti,
Roma sorrise a tutti gli uomini. Ere
di sangue, chiuse! Aperti nuovi fasti!
Or tu, sul monte, bronzeo resti, quale
della leggenda ultimo cavaliere,
poi che ti colse in fronte l'Ideale.
Sparve con te la bella guerra, come
meteora d'olocausto, che le madri
benediceano. Ancor raggiò fra' padri
boeri e sparve con le rosse chiome.
Ecco un convulso mostro, ora, che vome
strage. I guerrieri ciechi, fra' lor quadri
di ferro, odon venir con passi ladri,
d'onde? la morte e non li chiama a nome.
Giovani, in patria producean i frutti
della vita e mietevanli per tutti.
Falciati, lungi, sotto ignote stelle!
Altri verranno, che la fame svelle
da la lor terra, a spremere un tesoro
per colui che ha mercato il sangue e l'oro!
Tornerà un giorno. Una novella gesta
leverà fama da un lido lontano
e l'anima d'Italia udrà ridesta
sonar pel mondo un nome italïano.
Dai padri che hanno vinto la foresta
e nei deserti propagato il grano,
apporterà virtù novelle a questa
esausta terra e un largo cuore umano.
I simboli onde mascherati gli uomini
succhian la vita agli uomini, arderà,
e: «Destate l'eroe dentro di voi!»
griderà intorno. E sorgeran gli eroi,
eroi di pace a te, Roma unità,
eroi d'amore, o Roma amor degli uomini!
Anch'io cercai svèllermi da la stretta
delle cose e degli uomini, a la pace
formidabile, a l'aer freddo che tace
oltre il vento, oltre i ghiacci, oltre ogni vetta.
Piccola umana emozïon vivace,
cui la più torbid'anima è soggetta!
Sali, e arrancando dietro te s'affretta
qualche minuta realtà seguace.
Un murmure, un frullar d'ale improvviso,
un vagito, una lagrima, un sorriso;
ecco fuse le note fuggitive
nel ritmo del tuo cuore, che si sente
raggio nell'aria, goccia nel torrente,
linfa in arterie senza fine vive...
Agitavano il suol flore possenti,
fiere devastatrici e stragi immani.
Apparve l'uomo e con le nude mani
pazïente educò messi ed armenti.
Educò l'acque negli arati piani
e il fuoco animator di vita e i venti
sul mare; con le dita intelligenti
regge ora i freni delle forze immani.
Scruta i minimi, distruttori, e vuole
propizia a sè l'opera della morte.
Pur muore, ma inesausta è la sua prole.
E la terra rimuta senza tregua.
Perchè? Silenzio. Passa una coorte
nuova; fatica, interroga, dilegua.
Ti trovò l'uom fra i sassi dei torrenti,
seco ti spinse nelle migrazioni;
e ancella nelle gelide stagioni,
tessevi lane, tritavi frumenti.
Ora la forza innumere alimenti
fra le sue sagge mani; arguta suoni
nelle sue case o procellosa tuoni
e al monte, al mare esseri strani avventi.
Esseri strani l'uomo crea, l'ignoto
a conquistargli, esseri onnipossenti,
nei quali tu, cuore perenne, vivi.
Tu che i minuti suoi misuri e inscrivi,
insiem col giro degli abissi ardenti,
intorno al centro dell'eterno moto.
Odi, Sigfrido, a te fluire i suoni
della foresta? Parlano gli uccelli.
Tutto vive e ti dà fraterni appelli.
Sparvero mostri e dèi, illusïoni.
L'uom rispondeva e in lui nuove unïoni
facean le voci. Udivano i fratelli,
ripetean la parola, che, in suggelli
incisa, venne a le generazioni.
Era un suono di vento ed è consenso
oggi d'umanità. Poche parole
l'anima nostra chiudono e l'immenso.
Occupano la terra, come vuole
l'uomo: e a rapire qualche nuovo senso
emigran oltre l'orbita del sole.
Nascesti avvolto da le voci erranti
nelle frondi e su l'acque; e tra le gole
canore che opprimean talor gli schianti
del tuono, emerse il tuo cantico al sole;
e quando venner meno le parole,
i metalli squillarono: con quanti
strumenti il mondo giubila o si duole
moltiplicasti l'onda de' tuoi canti,
Uomo! Così ti levi, inno che domini
l'odio; che accordi la gioia e lo strazio
spiranti verso la serenità.
Così ti comporrai, coro degli uomini,
cantico della terra, e nello spazio
coro degli astri per l'eternità.
Inesauribil spirito, che i baci
dei fiori accosti, e penetri le frondi
ed inazzurri l'etere e circondi
la terra e il mar di palpiti vivaci;
aër che invadi i sudanti toraci
e in desïosi cantici ti effondi;
che inerte su le bocche aride giaci
se l'impulso d'un cuor non ti secondi!...
Anche il libero ossigeno ai polmoni
dei fratelli usurpava il Violento
e corrompeva in tugurii e prigioni!
Finchè tu nol riduca uno strumento
di maggior vita, o Uomo, che componi
sul ritmo del tuo cuore ogni elemento.
Nasceva in te la vita originale,
quando il cuor della terra alzava i monti;
poi scese a te col corso delle fonti
l'uomo che porta nelle vene il sale.
E un fusto cavo, indi animato d'ale,
grande si profilò su gli orizzonti,
e le stirpi degli uomini sui ponti
doni e morte mescean con vece uguale.
Quando su l'acque un novo mostro apparve,
di fuoco e ferro, e sotto l'energia
trista dell'uom tu soffri, o mare, o mare!
Ma un dì, scomparse queste cupe larve,
pulserai col cuor nostro in armonia,
anima irrefrenabile del mare!
Il vecchio siede a lato del portone
di fronte ai campi immensi e agli aratori.
Ligneo, curvato a terra, par che implori
mercè ch'è vivo ancora una stagione.
Non ebbe in ottant'anni che dolori,
nel timor del suo dio, del suo padrone:
onde pensando all'ultimo sermone
si reputa il più reo dei peccatori.
Ma spera... In gioventù qualche stravizio:
qualche facezia prima di sposare...
Poi venne la famiglia e la saggezza,
e la miseria. Ond'egli or accarezza
l'idea del Purgatorio. A peggio andare,
sarà finito il giorno del Giudizio!
Ma il figlio intorno per la nebbia esplora:
scorge su quella l'ombra sua gigante:
questa era Dio. Poi guarda il ciel distante
ove nascono mondi ad ora ad ora.
L'universo ci ignora. Il fluttuante
mar dell'essere ci agita e divora,
minimi nell'immenso. Forse adora
la formica il calzare del passante?
Allora, mentre il padre trema e prega,
«Terra, almen tu sei mia!» pianta la stiva
nel suolo, e il frutto della vita afferra.
Alcuno in nome di quel Dio ci nega
quel ch'è di tutti? No, fratelli. E viva,
nostra comune eredità, la Terra!
Oro, l'industrïoso uomo ti svelle
rilucente e sonoro di sotterra:
ti suggella e nel piccol pugno afferra
con te il valor del suo mondo ribelle.
E cercandosi l'energie sorelle,
tu sei l'anello per cui l'uom si serra
intorno al globo, irretica la terra
di sue radici e i rami alza a le stelle.
Questo sei? Fosti. Or, usurpato il regno
del pensier, del lavoro, dell'amore
e delle sante cose ond'eri segno,
contro te grida il sangue d'ogni cuore...
Altra bellezza, altro destin più degno
t'imprima il fuoco purificatore!
Occhi miei, da quel dì che il bel sembiante
che specchiaste a lo schiudervi, è dissolto,
e la natura vi scoprì il suo volto,
indi la donna vi sorrise amante,
quante fuggenti ombre di cose, quante
femminee rapid'ombre avete accolto!
Sovr'esse l'arte il suo potere ha svolto,
le fece umane, ed il mistero sante.
Ma un dì vi chiuderete, ciglia, porte
dell'umano spettacolo, e repente
la notte v'aprirà le sue grand'ale.
E allora, o visi che passate, quale
imagine su me china e dolente
custodirò nelle pupille morte?
Tu che t'inchini già verso la zolla
per aver troppo riguardato i cieli,
e attonito a' tuoi simboli crudeli
scordi la vita che a tuoi piè rampolla,
levati e vivi! Guarda come aneli
la vita oppressa e in gurgiti ribolla
in fondo ai mari, e in folgori s'estolla
pur su le vette immobili di geli.
Oggi digiuno per gavazzar poi,
non sai ch'eterno è l'attimo felice
se lo riempia il ritmo del tuo cuore?
Ma tu non odi e muori, mentre noi
viviamo, consci che non ha radice
nella morte una vita ulterïore.
Quando l'uomo depose lo sgomento
e il mondo ornò di deità fraterne,
come bello moveva con le alterne
ginocchia, il capo verso il firmamento!
Ma tra quelle, una orrenda, ecco, ne scerne,
Javeh, l'ultimo Dio. Cadde col mento
nella polvere, e in quell'atteggiamento
l'effimero s'inflisse pene eterne.
Oh, risorga oggi su le membra belle
l'uomo ed esalti questa sua terrena
forma di vita che fomenta il sole,
e più alta la renda a la sua prole,
prima che anneghi nell'aria serena
ove sgorgano e spengonsi le stelle!
O rifiorente nelle primavere,
suprema tra le imagini terrene,
o voluttà dell'anime serene,
e rimpianto agli esausti dal piacere!
Il fascino dei sensi idea diviene
intorno a le tue linee sincere,
però che il ritmo che t'informa tiene
dell'armonia che domina le sfere.
Languor di stelle, chiarità di soli,
riso di mar, serenità di monti,
la bellezza del mondo ha per te senso.
Tu, datrice di vita, tu consoli
della vita, se tocchi su le fronti
che nel tuo cerchio sognano l'immenso!
Io sento una leggenda in cuor cantare,
una leggenda delle nonne pie:
organi v'accompagnan litanie;
brillano ceri intorno ad un altare.
Processïoni vanno per le vie
lungo i rosai tra le pinete e il mare:
cantano le campane e il cielo pare
un seno immenso pieno d'armonie.
Passa un bimbo che portano a battesimo.
Passa una croce, chinansi le fronti.
Passa Gesù portato ad un che muore...
Ma un nero mago è in mezzo a l'incantesimo.
Perdona, o sole! se quando tramonti
un pianto di campane canta in cuore...
Un ricordo. M'avevano insegnato
a temere la folgore. Nel campo
sterminato ero solo. Ed ecco, un lampo
guizza: lo segue un lugubre boato.
Fuggo, guardando ai gran' roveri; inciampo;
salto tra' solchi, tra' fossi, inzuppato
di pioggia. Ecco la strada, e infine a lato
i fili telegrafici, lo scampo!
Scampo? Il destino dentro i ragnateli
aerei s'impiglia sì che i teli
la morte scocca sui mortali a vuoto?
La scïenza così tesse i suoi veli
su noi. Guardiamo: il cielo è breve e noto...
Illusïon! Dietro è il Mistero immoto!
Io nella notte della terra e in fondo
a gli abissi dell'etere m'immersi,
il cielo ingombro con grand'ala apersi
lungi spingendo i limiti del mondo.
Le forme cui divine leggi infersi
del mio spirito penetro e circondo:
io nell'immensità punto errabondo
di me riempio gli esseri universi...
Povero capo mio, come di piombo,
grave, che affondi in un assiduo rombo
pieni gli occhi dell'ombra interïore.
Oh riposare sovra un saldo petto,
come, o Signore, un giorno il giovinetto
apostolo dormì sopra il tuo cuore!
Larva di sogno? fiato? ombra? Dispare
fuor dalla spoglia, che si sfascia... Vive
libera forse in più felici rive?
esule, vaga intorno al vecchio lare?
Dissipata è la spoglia sua nel mare
del mutamento. Forse da sorgive
misterïose, in forme sensitive
immemore ad immemori compare?
Anima, dentro te piccola e chiusa
o con l'umanità, nell'avvenire
e nel passato, immensa anima effusa!
Eterna fosti. Or puoi, l'istante giunto,
sognando l'immortalità morire...
Dopo, che importa? Eterna fosti un punto.
[Pg 97]
In memoria di Furio De Amicis.
I.
L'adolescente un sogno avea nutrito
onde cercava in riva al fiume l'orme?
Sovra gli esuli pini e il Po che dorme
vaga come un rimpianto d'infinito.
Era il meriggio. Si destò, smarrito.
Guardò lontano le languenti forme,
la città, pigra dentro il sole enorme,
ed annuì come ad un noto invito.
Era come colui che ignaro move
nella notte fra sozzi ebbri digiuno,
e chiude gli occhi e di vegliar rifiuta.
«Ah non è qui la vita! Altrove, altrove!»
Laggiù, lontano, udì piangere alcuno?
E si rivolse verso l'ombra muta.
L'albero si chinò sopra uno schianto
aperto nelle sue viscere stesse
quando i due rami giovinetti oppresse
il soffio della morte e un giacque infranto.
E attende, il padre. Con entrambi intanto
cammina: nei silenzî ode sommesse
voci. Nè guarda; come se temesse
fugare un'ombra che gli viene accanto.
E si desta al mattin con un singhiozzo
chiuso. Perchè? Non ritornò l'assente?
Pur scialbo è il sole e l'anima non paga.
Poi lo sorprende una tristezza vaga:
ed ei s'ascolta, come chi repente
sente il braccio doler che gli fu mozzo.
Ignoro, amico, la parola buona!...
Da le cellule prime a le stormenti
foreste che moltiplicano i venti,
ove l'aria nei tronchi s'imprigiona;
da l'immobile vita che ai moventi
esseri fiato e nutrimento dona,
sino a quei che il ricordo fa persona
e la parola fa re dei viventi,
ecco la Terra svolgersi, a l'invito
del Sole; da le viscere del Tutto
traendo in cima ai rami il fiore umano...
Il fior matura, e dove il piccol grano
cada, non sa la Madre, che il suo frutto
disseminando va nell'Infinito!
Formidabile a l'uom, Vita del mondo,
con le tue vaste passïoni incombi:
guizzi e scrosci coi nembi e dal profondo
cuor della terra, impazïente rombi.
E, Morte, tu, vasta e repente piombi
sopra un gregge d'efimeri errabondo:
ancor n'udiamo i colpi e l'ecatombi
copron già il suol, scendono al mare in fondo.
Qualcosa in noi rimuore a la fraterna
morte. Qualcosa è in me che già passò
la morte? Sopravvive e si rimembra.
Sopravvivrà? In quali umane membra
od ignota compagine, non so:
rivibrerà la mia sostanza eterna.
Poi che la terra i membri effusi e vani
raccolse e il mar cingeva gli emisferi,
ond'erompean al cielo i monti alteri
e si spandean l'alluvïoni ai piani,
o coscïenza della terra, ov'eri?
Il piccol uomo allor sognò titani;
s'erigevan sui culmini montani,
gonfiavan di lor collere i crateri.
Sognò gli dèi per debellarli, belle
stirpi e ristette, contemplando quelle
imagini di sè levate in guerra.
Sparvero, e l'uomo or lancia da la terra
le moriture deità novelle;
crede e riposa e cerca nuove stelle.
Per me desiderai le rose, il vino,
la voluttà, le gioie tutte, per me?
Ben poco m'ebbi e sazio ero. Perchè?
Avevo udito piangermi vicino.
Ben poco m'ebbi e tutto diedi, infino
che sentendomi privo anche di me,
trovai colei che a me stesso mi diè,
e fummo un'onda nel ritmo divino.
Or tutto io sono, tutto effondo, aduno,
il pane e l'acqua ed il dolore umano
trasmuto in sangue ed in pensier' d'amore.
Sibilla ed io: ch'io son duplice e uno,
una mano, pur mia, nella mia mano
e un cuore, altro mio cuor, dentro il mio cuore.
Nei campi della vita ecco un'immensa
strage. Il più forte l'indifeso assale.
Da la cellula a l'uom, lungo le scale
della vita, l'un fa dell'altro mensa.
Ma dai fermenti che la strage addensa,
più ricca balza l'energia vitale;
annoda ganglî, organi tende, sale;
s'accende e raggia in un cervel che pensa.
E s'una Mente alfin l'ha scorta, vana
non fu la guerra; i fremiti ne ammorza,
la volge a un bene ch'ella stessa ignora.
Perchè la terra ha un'anima, che implora
d'eromper da le viscere a la scorza
e d'integrarsi in questa anima umana!
Poi che raminga in pavidi ripari
foggiò la fiera onnivora l'Arnese
per uccidere e per creare, e scese
lungo i pingui bacini e gli estuari,
presso le tombe edificati i lari,
li ornò di templi e cinse con difese;
strade ne irradïò: donde contese
e tregue lungo i lidi e sovra i mari.
Pace, o fucine, dove su l'incudini
del dolore l'uom foggia il suo futuro:
niun nato d'uomo in voi più sia straniero!
Issate i fari per le latitudini
a illuminar le vie del cielo oscuro,
palpitando la terra a un sol pensiero!
Un anno, un giorno, un'ora... Ed anco un anno,
un giorno, un'ora! Il tempo immobil dura.
La lancetta procede con sicura
costanza, senza sosta e senza inganno.
Con ugual legge per gli spazî vanno
gli astri e ciascuno ai prossimi è misura.
Docili intorno ad una Forza oscura
per tutto il tempo ancor graviteranno.
Ma della vita l'indice è la noia
lenta e fra lenti battiti l'ingoia
tosto l'ignoto che ci è tomba e culla.
Pur quando guida il dito dell'Amore
o del Dolore sul quadrante l'ore,
l'attimo è tutto ed una vita è nulla.
Chiamatelo fra voi! Non lo vedeste
giungere, cupo e solo, fra' tumulti
vostri? Non par che il muto teste insulti
ai vostri lutti ed alle vostre feste?
No. Tace. Guarda, e forse pianti occulti
reprime sotto le pupille meste,
e il suo petto, che par immoto, investe
un impeto frenato di singulti.
Chiamatelo! Non lasci egli le soglie
così. Implorerà? Senza che implori,
ebben, fategli dolce vïolenza.
Poich'egli sa che non è viver senza
gioir dei gaudii, soffrir dei dolori
vostri, morire della vostra morte!
Pianto ed oblio! Rugiada che i vapori
dell'amore e dell'odio assorbi, esali;
effusïone di prementi mali,
balsamo che la gioia anche insapori!
E tu sorriso e riso alto che sfiori
le guance adolescenti e vivo sali
dai cuori offesi e i giochi dei mortali
dinanzi ai savî d'ironia decori!
Salubri doni! Abbatte uno le fronti
sul gorgo senza tempo, ove le terge
l'Essere addormïente, animatore;
l'altro le aderge verso gli orizzonti
serenatori, dove eterna emerge
la verità redenta dal dolore.
Pensava il Santo quant'è cosa acerba
vivere. E non perchè la carne muore,
ma perchè il vivo al vivo dà dolore.
Ond'ei cessò di pascere pur l'erba.
E una voce gli sonò dentro: «Serba
la pietà per la vita inferïore;
ma da la tua, somma di vite e fiore,
ne germogli una forma più superba.
Compiangi il mondo pur, ma più compiangi
gli uomini, e torna a le lor case e addita
le vie per cui si ascende nella vita.
Chè, mentre tu su l'erbe che ti mangi
lagrimi, intorno ad un vitello d'oro
i fratelli s'immolano fra loro!»
Vi schierate così, sotto la nave
cristïana, sui plinti alti, o confitte
inegualmente al suol, colonne invitte
di un prepotente impero, or fatte schiave.
Greco scalpello forse da le cave
d'orïente vi svelse, e pose, ritte
a l'aria e al sole: or fra le turbe afflitte
del Galileo v'accascia un'ombra grave...
Così, gettato il giogo del fratello,
l'uomo, ch'esalta la Fortuna alterna,
le campagne di lui, le case gode;
non senza farsi un Dio, cui volge a lode
la propria gioia e l'abiezion fraterna:
e il medesimo altare è per suggello.
Errante in suolo inospite a l'acquisto
del cibo, l'uomo imaginò nemiche
forze gravanti sul suo viver tristo
a punirlo di colpe ignote antiche.
Giovine e amante poi, si finse amiche
deità, un Olimpo ornò commisto
di semidei, cospicui per fatiche
e miracoli... Ed ecco, ultimo, Cristo.
O Cristo, quanto grave è l'esser dio
per pietà dei fratelli! «Lungi» esclama
«questo calice!» E, per la Vita, muore.
Adulto or l'uomo riconosce il pio
sacrifizio di Cristo. Infine egli ama
la terra, ama la vita, ond'è signore.
Voi l'uccideste! Da l'uccisïone
dei puri eroi castigo mai non venne.
Non paventate, piangete! Vi tenne
ira e follia. Gettategli corone.
V'amò quant'altri mai. La passïone
di lui volle inalzarvi in un perenne
volo e non vi bastavano le penne.
Morì: nel suo riposo or si compone.
Portate l'urna sua con buone scorte
lungo la vostra via. Caduto è il vento
d'abisso e non atterra che le cime.
E stringendovi a lui quando v'opprime
il destino, pensate, in un momento
di sosta, a la giustizia della morte.
Gocce di sangue? È l'alba, mentre torno
al lavoro. Le screzïò d'argento
sul marciapiede il ghiaccio. Uno sgomento
m'assale. Tutto ancora tace intorno.
L'oro, l'amore, il vino?... Era il ritorno
della belva primeva. Ed un momento
guizzò un'arma, sparì. Non un lamento
forse. Silenzio ed ombra. Ed ora è giorno.
Perciò la Vita con tanto dolore
s'orïentò, salì verso la Mente?
Ecco, l'annienta un attimo d'oblio.
Altri guarda e sen va. M'affretto anch'io...
Ricche arterie ha la Vita e non risente
di due stille cadute dal suo cuore.
Gli esuli dissodavano le zolle
d'una inospite landa, e l'uno chiese
dell'altro. Ognuno avea patito offese
dall'uomo. Uno esulò per fame, un volle
fuggir per non uccidere; contese
altri per un amore, altri in un folle
impeto uccise. Ora: «Tra il fiume e il colle—
diceano—leveremo ardue difese».
Quando un vecchio passò. Ristette l'Uomo
errante, udì: scoteva il petto annoso
un singhiozzo. Riprese il suo cammino.
—«Vecchio, perchè non sosti?»—«È nel destino
ch'io vada ancora e non abbia riposo
che in una terra ove l'uomo ami l'uomo!»
—«Vuoi obliare? Dietro te gigante
t'inquieta il passato. Oh non sognare,
tu vorresti, andar naufrago nel mare
dell'essere; non viver che l'istante!
Ebben, segui il tuo sol come le piante,
chiudi le ciglia quando il sol dispare;
fuggi gli umani, ama le cose ignare...
Dormi. Ed ecco un liquore inebbrïante...»
—No! Ricordare! Io sono la memoria
degli esseri che fui. E mi commove
tutto l'eterno ad ogni batter d'ore.
Vivere, quanto l'Uomo: esser la storia,
la coscïenza della Terra, e altrove
portar me stesso e 'l ricordo e 'l dolore!
Vaporava la Terra: abbrividenti
profili alzava incontro ai soli occidui
e caotiche forme negli assidui
sforzi espelleva, esseri incerti, lenti.
A stento si scioglieano dai residui
del limo grave. Indi foreste e armenti
sorsero, e guizzi dentro l'acque e i venti,
e l'armonia di liberi individui.
L'ultima forma che la Terra espresse
l'opera proseguì. Architetture
pensose trasse dai fianchi materni.
Fasci di nervi or trama e raggi tesse.
E l'uom stupisce per le creature
che fioriscon da lui nei maggi eterni.
È il corpo mio campo d'antiche sfide,
come la terra dentro la caligine
primeva. Forse qualche scaturigine
di vita in me per sempre si recide?
Sotto ogni forma bella che al ciel ride
l'uomo indaga, e l'afferra la vertigine.
Luce in fondo l'idea. Dove ha l'origine?
Un fermento la suscita o l'uccide.
Affrettan le agonie, le cose morte
sgombrano per far adito ai viventi,
indefessi operai del divenire.
Quando avverrà che domi l'uom quest'ire
nemiche, e dolce viva, e l'addormenti
sazio di giorni l'oblïosa morte?
L'uomo, re delle forme ultime, vuole
dentro la terra approfondir l'indagine:
assiduamente fruga la voragine
che Dante ornò di sue divine fole.
Nel suol, come in vecchio albero, l'imagine
simultanea degli evi scopre al sole;
e nei fôri ove ruzza la sua prole,
il passato si svolge in chiare pagine.
Così la Terra, per l'essere emerso
ultimo dal suo grembo, apre le ciglia
e scorge sè piccola, oh quanto! Eppure,
più vasto è il cielo e pieno di venture
per la solare piccola famiglia
in questo breve angolo d'universo.
Fra piccole virtù teologali
Michelangelo sculse un esemplare
di umanità, sì forte, che destare
lo volle: «Vivi, e scendi fra' mortali».
Poi lo volse sdegnoso ad aspettare,
sui genuflessi sudditi papali,
che potesse fra un popolo d'eguali
sciogliere un dì le membra alte e parlare.
Secoli ancora! Poi, gli occhi iracondi
serenerà. Verrà possente, fuori,
nel sole, vòlto a la Terra Promessa.
Sarà la terra allor folta ed oppressa
d'uomini, e pronti molti migratori
verso l'azzurro, fertile di mondi.
O bella nel mare artico Atlantide,
presso al polo fiorita di ninfee!...
Gelò, sparì. S'inizian l'odissee
umane: in alto eran le alate guide.
Scesa lungo le tepide maree
a la zona che verde e mite ride,
rigurgita ora a le plaghe omicide
l'umanità non mai sedata, Andrée?
Andrée, lontano e in alto! Ha messo l'ale
l'uomo e rimira oltre le nubi, pensa
un'odissea per un ben altro mare.
Avvolgerà la terra il glacïale
lenzuolo? V'è nella corona immensa
del Sole al piccol uomo altro alveare?
Otto grandi fratelli in suo regime
il Sole tien, che la sua lampa accese:
lontani e ignoti: ora nel ciel sublime
due, l'uno all'altro han le pupille intese?
Fratello, in te già mossero le prime
forme di vita al padre sol protese?
vegetasti, sentisti, alfin da l'ime
profondità la chiusa anima ascese?
Forse già sei qual noi sarem domani,
e indaghi dentro l'etere stellante
con desiderio senza fine intenso,
accennando con segni non umani
a questo piccol astro, radïante
l'inappagata anima nell'immenso...
I.
Una stella sparì da l'armonia
del cielo e ancor noi la guardiamo, quale
tremolava in un tempo immemoriale,
e ci sorride da l'antica via.
Dal cuor pulsava forse un'energia
onde la vita svolse le sue scale;
onde a prova l'argilla e l'ideale
lottaron fra un vagito e un'agonia.
Forse una stirpe nel suo firmamento
tenne incarnata un'anima solare
e risplendè co' suoi genii ed eroi...
E il gran cuor s'allentò, ristette. Poi
silenzio... Oh sole! Ed ecco il cielo appare
innumerato e senza mutamento.
Efimeri occhi! Là risplende un sole
dove per voi la nebulosa sciama:
un urto infiammò il ciel, pende una mole,
là dove nessun lume ancor vi chiama.
Forse non lungi una fraterna prole
per una terra l'opre sue dirama,
lancia nel cielo numeri e parole,
cerca, foggiasi dèi, sè dio proclama.
Anima mia smarrita! È giunta l'ora
che una nenia nostalgica t'appella:
«Uomo, ignora e dispera, ignora e adora!»
No. Tu gl'ingegni ai sensi rinnovella,
e per gli spazî e per i tempi esplora,
occupa l'universo a stella a stella!
E voi, nel vostro aereo ritiro,
sul cuor pulsante della terra intenti,
pronti a l'annunzio di trasalimenti
micidïali al piccol uomo, ammiro:
e voi, che interrogate nelle ardenti
stagioni e nelle gelide il respiro
corso da nembi e da fólgori e il giro
delle linfe nel gran corpo fluenti:
e voi, che i nostri numeri nei regni
dell'infinito seminate, e l'ieri
vi brilla agli occhi e illumina il domani...
Però che un dì starete, sui congegni
divinatori, come timonieri
saldi e securi de' vïaggi umani!
Notte profonda, immensa, refrigerio
delle forme che il sole agita e stanca,
riposo e sonno dove si rinfranca
la volontà di vita e il desiderio!
Mare insonne, specchiante l'emisperio
stellare, luna saliente bianca,
abisso che d'intorno si spalanca
e assorbe in un armonïoso imperio.
Profondo anch'io come la notte, e immenso
come il sidereo palpito ove penso
il flusso del mio cuore essere immerso!
E umil fidente nel silenzïoso
ordine onde son parte, ove pur oso,
nulla essendo, sentirmi l'Universo!
Parecchi fra questi sonetti vennero già pubblicati dal 1899
in qua su alcune riviste:
In memoria di F. De Amicis (Illustrazione Italiana, 1899).
Sul fiume, In memoria, Abbandonati, Su un orologio (Nuova Antologia,
16 giugno 1901). Bellezza femminea, L'iniziazione, Ella?,
Amanti, L'amica (Nuova Antologia, 16 marzo 1902). Villaggio
natìo, Circolo vitale, A uno straniero, I dissodatori, Bruto ultimo,
Garibaldi (Nuova Antologia, 16 gennaio 1903). Aer, Pan
(Riviera Ligure, 1903). Le forme, È nato!, In piedi!, Mosè,
Al Foro Romano, Lotta per la vita, L'uomo tragico, La morte
(Nuova Antologia, 1º gennaio 1905). L'astro morto, Marte
(Riviera Ligure, febbraio 1905).
Un breve poemetto, Nubi e sogni (Nuova Antologia, 1º giugno
1899) ed altre poesie composte dal 1899 al 1903 e non consentanee
al carattere generale di Homo l'autore raccoglierà in
una prossima edizione di In Umbra.
Homo: |
Visione di meriggio | Pag. | 7 |
|
Le età dell'uomo: |
È nato! | » | 11 |
Fratelli | » | 12 |
Mistero | » | 13 |
La marcia dei fanciulli | » | 14 |
Il sapere | » | 15 |
Hodie mihi... | » | 16 |
La Scuola | » | 17 |
A Edoardo Rod | » | 18 |
Fiorita | » | 19 |
Guidarello | » | 20 |
Amanti | » | 21 |
Maternità | » | 22 |
Le sorelle | » | 23 |
Don Giovanni all'inferno | » | 24 |
«Genialis Lectus» | » | 25 |
Vecchiaia sterile | » | 26 |
I Longevi | » | 27 |
È morto | » | 28 |
|
Amore: |
Donna | » | 31 |
Eva | » | 32 |
Amore | » | 33 |
Beatrice | » | 34 |
«Mia!» | » | 35 |
A due sposi | » | 36 |
Davanti a Sant'Orsola | » | 37 |
Leopardi | » | 38 |
Sibilla | » | 39 |
Omnis caro fœnum--I | » | 40 |
II | » | 41 |
|
Episodî: |
L'orfano | » | 45 |
Abbandonati | » | 46 |
L'iniziazione--I | » | 47 |
II | » | 48 |
III | » | 49 |
In memoria | » | 50 |
Ella? | » | 51 |
Schiava | » | 52 |
L'amica | » | 53 |
La cortigiana e l'apostolo | » | 54 |
Dopo il festino | » | 55 |
Nascita | » | 56 |
Il gorgo | » | 57 |
Le zanzare | » | 58 |
Sull'altura di Greenwich | » | 59 |
|
Patria: |
Villaggio natìo | » | 63 |
Circolo vitale | » | 64 |
I dissodatori | » | 65 |
A uno straniero | » | 66 |
Al popolo d'Italia--I | » | 67 |
II | » | 68 |
L'appello | » | 69 |
Bruto ultimo | » | 70 |
In un museo lontano | » | 71 |
Garibaldi--I | » | 72 |
II | » | 73 |
III | » | 74 |
|
La natura: |
Pan | » | 77 |
Tu lavorerai! | » | 78 |
La Ruota | » | 79 |
Linguaggio | » | 80 |
Musica | » | 81 |
Aer | » | 82 |
O mare! | » | 83 |
Il padre | » | 84 |
Il figlio | » | 85 |
Oro | » | 86 |
Occhi | » | 87 |
L'asceta | » | 88 |
In piedi! | » | 89 |
Bellezza femminea | » | 90 |
|
Il mistero: |
Nostalgia mistica | » | 93 |
Scienza | » | 94 |
San Giovanni | » | 95 |
Anima | » | 96 |
In memoria di Furio De Amicis--I | » | 97 |
II | » | 98 |
III | » | 99 |
Stupor Sacro | » | 100 |
Le Ipotesi | » | 101 |
|
Umanità: |
Duplex, omnis et unus | » | 105 |
Lotta per la vita | » | 106 |
Le Città | » | 107 |
Su un orologio | » | 108 |
Il pessimista | » | 109 |
Riso e pianto | » | 110 |
Il Santo | » | 111 |
In Aracœli | » | 112 |
Ecce homo | » | 113 |
Il Martire | » | 114 |
Gocce di sangue | » | 115 |
Ahasvero | » | 116 |
L'uomo tragico | » | 117 |
|
Universo: |
Le forme | » | 121 |
I Minimi | » | 122 |
Al Foro Romano | » | 123 |
Mosè | » | 124 |
Altrove! | » | 125 |
Marte | » | 126 |
L'astro morto--I | » | 127 |
II | » | 128 |
Al timone! | » | 129 |
Elevazione notturna | » | 130 |
|
Nota | » | 132 |
[Pg 139]
Biblioteca Romantica della «Nuova Antologia»
1. Cenere, romanzo di Grazia Deledda. L. 3.
2. Gli Ammonitori, romanzo di Giovanni Cena. L. 2.50.
3. I Nipoti della Marchesa Laura, romanzo di Danieli-Camozzi
e Manfro-Cadolini. L. 3.
4. Storia di Due Anime, romanzo di Matilde Serao. L. 3.50.
5. Il fu Mattia Pascal, romanzo di Luigi Pirandello. L. 3.
6. L'Ultima Dea, romanzo di C. Del Balzo. L. 3.
7. Nostalgie, romanzo di Grazia Deledda. L. 3.50.
8. L'Illustrissimo, romanzo di A. Cantoni. L. 2.50.
9. Ore Calle, sonetti romaneschi di Augusto Sindici. L. 2.50.
10. Dopo il perdono, romanzo di Matilde Serao. L. 4.
11. La via del male, di G. Deledda. L. 3.50.
12. I Cantanti celebri, di Gino Monaldi. L. 3.
13. L'ombra del passato, romanzo di Grazia Deledda. L. 3.50.
14. Homo, sonetti di Giovanni Cena. L. 2.50.
Presso la Direzione della «Nuova Antologia», Via San Vitale, 7—Roma
e presso i principali librai.
[Pg 140]
NUOVA ANTOLOGIA
RIVISTA DI LETTERE, SCIENZE ED ARTI
Si pubblica il 1º ed il 16 di ciascun mese
in fascicoli illustrati di circa 200 pagine ciascuno
ROMA
Direttore: MAGGIORINO FERRARIS
DEPUTATO AL PARLAMENTO
La NUOVA ANTOLOGIA è la più antica e la più importante
Rivista italiana di lettere, scienze ed arti. Fondata
nel 1866, nel corso di quarant'anni, essa ha continuamente
accresciuta la sua diffusione in paese ed all'estero e rappresenta
il movimento del pensiero della Nuova Italia.
I 24 fascicoli della Rivista formano ogni anno sei grossi
volumi e costituiscono una ricca collezione letteraria, scientifica
ed artistica.
La NUOVA ANTOLOGIA è la Rivista delle famiglie distinte
e delle persone colte. Essa pubblica regolarmente romanzi,
poesie, articoli critici e viaggi degli autori e delle
scrittrici più eminenti.
Alle più importanti questioni di politica interna ed estera
ed ai problemi economici e sociali del tempo, la NUOVA ANTOLOGIA
dedica studii ed articoli dovuti alla penna dei più
autorevoli Senatori, Deputati e Professori d'Università. Questi
articoli, che sono una vera specialità della Rivista, sollevano
sempre le più larghe discussioni nella stampa internazionale.
La NUOVA ANTOLOGIA è indispensabile a tutte le persone
che aspirano ad avere una cultura moderna e che amano
seguire il movimento del pensiero italiano ed estero.
I principali articoli d'arte, di storia e di viaggi sono riccamente
illustrati.
AMMINISTRAZIONE E DIREZIONE
ROMA
NOTE DI TRASCRIZIONE
Ovvi errori di punteggiatura sono stati corretti;
Sia il termine "desiosi" sia il termine "desïosi" vengono utilizzati nel testo;
Sia il termine "folgori" sia il termine "fólgori" vengono utilizzati nel testo;
Sia il termine "generazioni" sia il termine "generazïoni" vengono utilizzati nel testo;
Sia il termine "inquieti" sia il termine "inquïeti" vengono utilizzati nel testo;
Sia il termine "italiano" sia il termine "italïano" vengono utilizzati nel testo;
Sia il termine "oblìo" sia il termine "oblio" vengono utilizzati nel testo;
A pag. 20, la preposizione "Nel" è corretta in "nel" all'interno del titolo della poesia "Guidarello";
Altre inconsistenze grammaticali nei titoli delle poesie sono mantenute come nel testo originale;
A pag. 40, il termine "lavorio" è mantenuto (Sotto un tessuto come di corolle tepide un lavorio profondo sento);
A pag. 125, "V'e" è un errore di stampa corretto con "V'è" (V'è nella corona immensa del Sole);
A pag. 133, i puntini di sospensione sono aggiunti al titolo della poesia "Hodie mihi...";
A pag. 134, il numero di pagina de "La cortigiana e l'apostolo" è stato corretto;
A pag. 136, l'articolo "la" è stato aggiunto al titolo della poesia "Lotta per la vita".
Le rimanenti correzioni fatte sono indicate da linee punteggiate sotto le stesse.
Scorrendo il mouse sopra la linea punteggiata, il testo originale apparirà.
End of the Project Gutenberg EBook of Homo, by Giovanni Cena
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The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
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Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to
date contact information can be found at the Foundation's web site and
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Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
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